Autore: D. Nannini e G. Peresson
Pubblicato in Giornale della libreria, gennaio 2014.
Lingua: italiano
La nuova libreria.coop, aperta a inizio dicembre nel centro di Bologna, è un esempio di ricerca di qualità e di fusione tra prodotti e spazi diversi, con la volontà di offrire ai clienti un luogo in cui «rallentare» e arricchire il proprio tempo.
Intervista a Paolo Lucchetta.
L’ultima delle librerie.coop è nel pieno centro di Bologna. Frutto del recupero di un ex mercato ottocentesco – tra via Orefici, via Drapperie e via Pescherie Vecchie – lo spazio è stato prima una strada su cui si affacciava la Chiesa medievale di San Matteo degli Accarisi, poi mercato, infine cinema rimasto poi in stato di abbandono per molti anni.
È una struttura che si sviluppa su tre piani, per un totale di 1.200 mq. Ma definirla «libreria» è certamente riduttivo perché siamo in presenza di un concetto commerciale completamente nuovo rispetto alla tradizione del nostro Paese, frutto di un accordo tra librerie.coop e l’insegna enogastronomica di cibi e bevande di alta gamma Eataly.
Il nuovo Ambasciatori è uno spazio innovativo che unisce cultura e sapori e dove trovano posto, senza soluzione di continuità, una libreria con 85 mila volumi, 42 mila titoli, un caffè, un’enoteca-birreria e aree per incontri, lezioni ed eventi.
La narrativa è al piano terra insieme allo spazio forum e alla caffetteria con il banco per panini e spuntini; i libri sul tempo libero stanno al primo piano insieme all’osteria e alla gastronomia da asporto; al terzo i libri per i ragazzi e la saggistica, insieme alla vineria e alla birreria, e a un secondo spazio per incontri.
Al primo piano troviamo anche i libri della Palmaverde di Roberto Roversi, la storica libreria antiquaria di via dei Poeti, il cui magazzino è stato acquisito da Coop Adriatica.
Un investimento complessivo di oltre 3,7 milioni di euro (2,5 circa per la realizzazione dei lavori, oltre 1,2 per l’allestimento della libreria e delle aree per la ristorazione) che ha dato vita a uno spazio commerciale innovativo difficile da definire in base ai tradizionali modi in cui siamo abituati a definire le librerie, e di cui parliamo con Paolo Lucchetta che ha curato il progetto.
Cosa sta avvenendo nel retail moderno, in cui anche gli spazi di vendita del libro si trovano sempre più coinvolti?
La tendenza più rilevante che registriamo è quella della trasformazione dei negozi da luoghi di scambio di merci e di prodotti a proposte di spazi che vengono definiti come dei «community store». Spazi in cui la comunità dei consumatori – dei lettori nel caso della libreria – si riconosce nel marchio dell’insegna. Non solo «pretende» di avere a disposizione l’assortimento dei prodotti e delle merci, ma di trovarvi anche spazi di relazione, di approfondimento sui prodotti che intende acquistare, di conoscenza, di racconto del valore del marchio. Insomma spazi in cui si viene a instaurare una sorta di partnership.
Il mondo del retail si sta spostando nel progettare gli spazi di vendita verso la ricerca di adesione da parte dei consumatori a progetti più coinvolgenti. Il caso internazionale che rappresenta meglio questo diverso modo di immaginare gli spazi di vendita è quello degli Apple Store.
Apple, senza avere in precedenza alcuna esperienza di retail, ha concepito un luogo in cui si racconta il marchio e si vendono i prodotti Apple, ma che al suo interno prevede anche spazi di raccolta, fruizione, lettura e soluzione dei problemi legati al funzionamento dei prodotti del mondo Apple.
Quindi il consumatore, in uno spazio aperto 24 ore su 24 come una sorta di piazza, si riconosce totalmente in una filosofia che accompagna tutta l’esperienza del prodotto.
Come questo nuovo concetto di negozio si declina nella nuova libreria.coop di Bologna che avete progettato e che è stata appena aperta?
Va detto che è stata al tempo stesso una fortunata coincidenza e una interessante intuizione da parte di tutti i protagonisti, a partire da Coop Adriatica, librerie.coop, Eataly.
Fortunata coincidenza perché ha unito sul tema della cultura del cibo e della cultura del libro due aziende di eccellenza: librerie.coop e Eataly.
Fortunata coincidenza è l’eccezionalità del luogo che abbiamo trovato: siamo nel centro di Bologna, l’edificio presenta una stratificazione al tempo stesso storico-architettonica e di memoria per tutti i bolognesi. La somma di questi e altri elementi ha fatto sì che questo luogo si prestasse eccezionalmente bene rispetto a quello che dicevo prima: la città riconosce la propria storia all’interno di uno spazio in cui sono passati momenti importanti della propria vicenda di comunità: una strada, poi una chiesa, un mercato, un cinema.
I cittadini di Bologna si possono riconoscere in un luogo in cui trovare prodotti di eccellenza alimentare che possono essere conosciuti, acquistati, consumati a casa o direttamente nello spazio del negozio, secondo la filosofia di Eataly. A sua volta la libreria.coop non fa solo una proposta di assortimento ma contiene al suo interno anche una libreria storica bolognese come la libreria Palmaverde di Roberto Roversi. Il tutto in un luogo in cui ci sono ampi spazi dedicati alla lettura, a incontri e presentazioni.
Varie coincidenze che hanno portato a delineare un vero e proprio community store: uno spazio commerciale pubblico di ultima generazione, come se ne vedono nelle grandi capitali europee.
Il vostro studio si occupa della progettazione delle librerie.coop nei centri commerciali. Quali problemi avete dovuto affrontare in questo nuovo contesto? O quali opportunità avete potuto cogliere?
La prima grande opportunità data da questo luogo è stata quella di poter parlare di libri in uno spazio in cui la possibilità di leggere il luogo stesso è fondamentale: da parte dei progettisti, delle aziende coinvolte, del cliente.
La difficoltà e la sfida a cui ci siamo trovati di fronte è stata quella di lasciare visibili le tracce del passato – dai materiali alla copertura – andando poi a integrare gli elementi contemporanei che abbiamo inserito. C’è stata insomma la fatica e l’opportunità di progettare uno spazio e una libreria che fosse un collegamento con la cultura della città e dei suoi abitanti.
La seconda difficoltà è stata quella di fondere le culture delle due aziende – librerie.coop ed Eataly – mantenendone al contempo l’autonomia del funzionamento, anche semplicemente logistico. Ma dando la sensazione al frequentatore e al cliente che si tratta di uno spazio unico, senza cuciture, in cui non c’è una linea di demarcazione tra libreria e spazio ristorazione, tra scaffali dei libri e dei cibi; tra le sedute per leggere e quelle per mangiare.
La volontà è stata quella di far percepire questo spazio come un luogo dove poter leggere un libro e poi acquistarlo, oppure assistere a incontri con autori, ma anche come un luogo in cui ci si può recare per andare a pranzo o a cena. Un posto in cui poter vivere i due momenti in maniera distinta, ma anche con la possibilità di mescolarli assieme come due culture – quella della lettura e quella del cibo – che si fondono.
La necessità di creare un momento di «rallentamento» nei processi di acquisto che avete proposto nella progettazione architettonica delle librerie nei centri commerciali, qui si ritrova…
Qui in fondo siamo all’apoteosi del concetto di «rallentamento». Non solo l’acquisto dei libri è di per sé un processo che richiede un rallentamento – prenderlo in mano, leggerne dei brani, la quarta di copertina, ecc. – ma c’è anche la possibilità di avere, nel centro della città e in tutte le ore della giornata, l’occasione di entrare in uno spazio in cui «rallentare» il ritmo delle attività quotidiane, facendo una sosta per girare e scegliere un libro da acquistare, decidere di assistere a una presentazione, o di prendere un caffè, fermarsi a mangiare all’osteria, o acquistare prodotti alimentari.
La scelta è stata quella di progettare tutti gli elementi di uno spazio in cui l’esperienza dello shopping – libri e non – sia lenta e coinvolgente. Uno spazio che cattura il tempo ma non lo ruba, perché lo restituisce arricchito in qualità e in conoscenza. Il rallentamento diventa una qualità di fruizione alta, più articolata e ricca di suggestioni.
E l’esposizione dei libri?
Questa è la quindicesima libreria che apriamo, e con Romano Montroni e Fabrizio Lombardo abbiamo cercato di aumentare il livello della ricerca espositiva, tesa soprattutto all’obiettivo di raccontare i libri quasi uno alla volta. Mirando a non fare un luogo che sia solo un grande raccoglitore, bensì cercando di raccontare le storie di libri e di editori. Ad esempio, ci sono moltissimi leggii anche nei luoghi di passaggio; e libri anche sulle balaustre proprio per renderli oggetti sempre leggibili, manipolabili, fruibili uno alla volta. Lo scopo è quello di accrescere la visibilità dei singoli argomenti, legati poi di volta in volta a editori o autori o eventi, come lo spazio dedicato interamente a Il Mulino. Inoltre ci sono almeno tre punti che si prestano agli incontri, con spazi che possono raccogliere dalle 30 persone al piano superiore, fino alle 100 al piano terra.
Libro e cibo: come si possono esporre nello stesso spazio senza far avvertire l’esistenza di «cuciture», come le ha chiamate. Ad esempio che ruolo ha l’illuminazione?
Ci sono almeno quattro diversi livelli.
Innanzitutto la scelta di voler illuminare gli spazi dedicati ai libri e ai cibi allo stesso modo, volendo dare pari dignità alle due merceologie.
Poi c’è una specificità di illuminazione in tutti gli spazi di relazione: nei luoghi di degustazione c’è un’illuminazione specifica, tesa ad illuminare le superfici di contatto.
Poi un’illuminazione più tecnica che riguarda gli spazi delle cucine e delle retrovie della parte alimentare.
Il quarto livello riguarda l’illuminazione dell’architettura, poiché l’involucro è cosi particolare che ha richiesto una qualità illuminotecnica specifica e particolare sia sulle superfici restaurate che sulle pareti della libreria. La visibilità delle pareti perimetrali in mattoni, che rispetto alla storia dell’edificio sono solo apparentemente le stesse, è stata una scelta essenziale perché in esse sono inscritte scale, archi che segnano le diverse età del sito.
Abbiamo voluto mantenere queste specificità e renderle visibili ai cittadini che frequentano questo luogo. Per questo tutte le scaffalature della libreria sono senza schienale, permettendo di far vedere attraverso i libri la «pelle» dell’edificio, che abbiamo illuminato con una luce radente proprio per darle la giusta importanza.
L’illuminazione è un elemento centrale della progettazione di uno spazio come questo, perché consente di porre attenzione alla scenografia e di valorizzare l’unicità di contesto di questo spazio.
Librerie nei centri commerciali e nei centri storici: qual è la differenza di approccio?
Nel caso di librerie.coop ci sono due tipologie di intervento nella scelta dei luoghi. Una, che è forse più semplice, è quella di entrare nei centri commerciali. Qui il contenitore è asettico – è il «non luogo» di Marc Augé – è una tipologia architettonica che è un posto di transito, o comunque totalmente sradicato dall’identità del contesto. E con questa realtà ci si deve confrontare nel progettare la libreria.
Molto più interessante è quando il punto vendita va ad inserirsi in contesti urbani e quindi c’è la volontà di leggere i luoghi e i tanti collegamenti con la città in cui si inserisce. Collegamenti che sono infiniti e ricchissimi di evocazioni.
C’è un libro giapponese Wabi sabi, molto bello, che racconta di questo diverso approccio progettuale. La differenza principale tra la cultura occidentale e la cultura orientale nell’affrontare i luoghi è che nello stesso lotto di terra con al centro un albero, l’architetto occidentale taglia l’albero per costruire un edificio ricco di linguaggi articolati. L’architetto orientale progetta la sua architettura intorno all’albero. Anche ai ragazzi che vengono a lavorare da noi diciamo spesso che la capacità di vedere quell’albero è fondamentale per farne dei progetti vivi ed evocativi del luogo per chi lo frequenta.