Autore: Paolo Lucchetta
Pubblicato in VeneziaNews – agosto 2017, rubrica “:arte”
Lingua: italiano/inglese
Foto di Attilio Maranzano
Vocazione culturale, amore per la città, desiderio di visibilità: motivi diversi spingono istituzioni diverse per natura e interessi a entrare nel sistema culturale veneziano.
La recente storia dimostra che solo alcune di queste si inseriranno in maniera credibile e attiva nel tessuto dei luoghi veneziani dell’arte, altre si accontenteranno di sfruttare lo spazio scenico della città nelle occasioni in cui Venezia diventa per pochi giorni o settimane capitale mondiale della cultura, in attesa, come più di qualcuno auspica, che la città divenga anche e soprattutto un luogo di produzione culturale e artistica.
Comunque la si veda, è necessario riconoscere che ancora una volta la collaborazione tra le istituzioni cittadine e le Fondazioni (in questo caso Musei Civici Veneziani e Fondazione Prada) hanno avuto il merito di rendere possibile il restauro condotto nel pieno rispetto della sua storia di uno dei tesori dell’architettura veneziana del XVIII secolo, quale Ca’ Corner della Regina.
Nel bel catalogo che accompagna la mostra, Germano Celant spiega come dopo anni di racconto di storie di altri, l’occasione del restauro ha consentito alla Fondazione la narrazione della propria, raccogliendo l’invito a collocarsi in un contesto storico, per contemplare ed esibire un itinerario artistico e culturale che dal 1993 ha lasciato profonde tracce nel mondo e ora aspira a proiettarsi nel futuro.
In questo senso l’esposizione e la pubblicazione che l’accompagna sono una riflessione sul viaggio della Fondazione, una sorta di autobiografia, un monologo interiore in cui investigare la propria relazione con l’arte; una mostra generata dalla propria storia, dalla selezione degli episodi e dalla sua essenza, quella cioè di volere costituire un luogo di scambio interdisciplinare con artisti e filosofi, registi e teorici, musei e istituzioni aperta a tutte le interpretazioni senza un orizzonte specifico.
Le collezioni che Miuccia Prada e Patrizio Bertelli hanno raccolto dal 1983 non hanno alcuna pretesa di completezza, ma piuttosto di una propensione al rigore e alla passione che non è soltanto teorica, ma soprattutto esperienziale, e hanno trovato nelle stanze di Ca’ Corner della Regina un nuovo dialogo con un contesto storico inteso non come uno spazio monumentale, ma come una living location, un contenitore considerato contemporaneo che rifiuta qualsiasi aura che non sia la dimensione fruibile, attuale e vitale.
Il rapporto che la Fondazione Prada predilige è quello della coproduzione, attitudine che ha portato a realizzare progetti eccezionali e unici a Milano, Londra, Seul, Tokyo e che ha creato una narrativa di allestimenti sorprendenti ed eventi con il desiderio di creare nuove aree di ricerca e altre ibridazioni linguistiche. Come ad esempio il progetto, esposto con materiali e modelli a Ca’ Corner, del nuovo centro della Fondazione Prada a Milano, progettato da Rem Koolhaas/OMA, che assieme all’apertura di Ca’ Corner della Regina dimostra l’aspirazione a interagire non solo con il presente ma contemporaneamente anche con il passato e il futuro come occasioni di narrazione. Narrazioni tra art, brand, città, edifici che sembrano ben descritte nel dialogo tra Germano Celant e Rem Koolhaas alla ricerca delle motivazioni della localizzazione di fondazioni e musei in edifici esistenti storici e industriali. Una questione economica o un tentativo di mantenere l’immagine della cultura come alternativa, per recuperare la storia e proiettarla nel futuro? O, come negli anni ’70, tutto si può riportare alla necessità di grandi spazi per la ricerca artistica e per la Land Art?
Nella risposta di Rem, come spesso avviene, un’occasione di riflessione: «Nei Seventies l’idea di esplorare spazi alternativi aveva l’urgenza di trovare spazi “counter” per la “Counterculture”. L’arte poteva invadere ogni luogo: chiese, industrie, imbarcazioni purché il modello funzionasse in alternativa al mondo convenzionale e questo funzionò perché costituiva una minuscola parte del tutto. Ma quando l’alternativa costituisce la norma, il risultato è un enorme confusione. Forse con Fondazione Prada questi nuovi edifici potranno diventare la nuova alternativa». Nuove narrazioni, co-produzioni, esplorazioni e sperimentazioni che coinvolgano anche la città: su tale premessa sarà possibile valutare e apprezzare il contributo di questa straordinaria Fondazione al nuovo sistema culturale della città, nella certezza del valore di nuove pagine di un’autobiografia fatta di luoghi e persone di un paese come l’Italia, ben definito da Rem Koolhaas, very local e very global. Enjoy yourself!
Fino al 2 ottobre in Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina.
Info qui.
Anish Kapoor – Void Field, 1989
Pietra, pigmento, 20 elementi, dimensioni variabili.
Per gentile concessione della Fondazione Prada.
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Lucio Fontana – Concetto spaziale. La fine di Dio, 1963
4 elementi.
Per gentile concessione della Fondazione Prada.